Depositata l’8 novembre 2018 la sentenza della Corte Costituzionale n. 194/2018 che ha dichiarato incostituzionale il criterio per determinare l’indennità di licenziamento nel contratto a tutele crescenti previsto dal Jobs Act.
Il meccanismo di quantificazione previsto dalla norma connota l’indennità come rigida, in quanto non graduabile in relazione a parametri diversi dall’anzianità di servizio, e la rende uniforme per tutti i lavoratori con la stessa anzianità.
L’indennità assume, così, i connotati di una liquidazione legale forfetizzata e standardizzata, proprio perché ancorata all’unico parametro dell’anzianità di servizio.
Ma, sostiene la Corte, in una vicenda che coinvolge il lavoratore nel momento traumatico della sua espulsione dal lavoro, la tutela risarcitoria non può essere ancorata all’unico parametro dell’anzianità di servizio e non possono che essere molteplici i criteri da offrire alla prudente discrezionale valutazione del giudice chiamato a dirimere la controversia.
La previsione di una misura risarcitoria uniforme, indipendente dalle peculiarità e dalla diversità delle vicende dei licenziamenti intimati dal datore di lavoro, si traduce in un’indebita omologazione di situazioni che possono essere diverse.
In definitiva, l’attuale norma comprimerebbe l’interesse del lavoratore
Quindi – conclude la Corte – l’art. 3, comma 1, D.Lgs. n. 23/2015, nella parte in cui determina l’indennità in un «importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio», non realizza un equilibrato componimento degli interessi in gioco: la libertà di organizzazione dell’impresa da un lato e la tutela del lavoratore ingiustamente licenziato dall’altro, in quanto comprime l’interesse del lavoratore in misura eccessiva, al punto da risultare incompatibile con il principio di ragionevolezza e contrastare con il diritto e la tutela del lavoro, sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione.
E’, quindi, costituzionalmente illegittimo l’art. 3, comma 1, del D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23 limitatamente alle parole «di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio».
Indubbiamente una sentenza che non fa altro che complicare il già caotico impianto normativo in materia di lavoro e scoraggiare ulteriormente gli imprenditori, rendendoli sempre più ostili alle assunzioni a tempo indeterminato.
Foto di Karolina Grabowska: https://www.pexels.com/it-it/foto/uomo-persone-donna-connessione-5398881/